Gholam Najafi

Il giovane scrittore Gholam Najafi racconta il suo Afghanistan scrittore a Ferrara

A dieci anni, nel 2000, sono scappato dal mio Paese perché mio padre è stato ucciso, ma non sono scappato solo dai talebani: c’era la guerra civile. Non potevo più stare là, avrebbero ucciso anche me. Ho preso mio fratello più piccolo, che ora vive anche lui in Europa, e siamo andati da Ghazni in un’altra città. Non avevamo soldi e abbiamo trovato un piccolo ristorante in cui potevamo lavorare, mangiare, guadagnare qualcosa per poi viaggiare. Lì abbiamo incontrato una famiglia che ci ha portato in Pakistan, dove siamo rimasti quattro giorni. Tramite contrabbandieri, clandestinamente, ci siamo diretti verso l’Iran: di notte attraversavamo montagne, deserti, abbiamo fatto viaggi veramente terribili (c’erano tantissime migrazioni dall’Afghanistan al Pakistan e dal Pakistan verso l’Iran).

 

In Iran i poliziotti erano molto violenti, siamo stati in prigione per quattro giorni, eravamo anche in mille persone in questa prigione nel deserto. Ci facevano rotolare sulla sabbia e ci bastonavano. In Iran lavoravo di giorno come operaio e poi muratore e studiavo il Corano la sera. Però non avevo i documenti, non potevo frequentare una scuola (tranne che quella coranica, per cui non serviva l’iscrizione), aprire un conto in banca… Lavoravo sempre clandestinamente. Ma non c’era futuro in Iran… Dovevo venire in Europa.

 

Chi parla è Gholam Najafi, afgano. Il suo viaggio, iniziato a 10 anni di nascosto dalla madre per fuggire dalla guerra, termina 6 anni più tardi sulla costa di Marghera dove trova accoglienza e cura e dove può coronare il suo sogno: studiare.

 

Oggi ha 23 anni, è stato adottato da una famiglia italiana, lavora, e all’Università Ca’ Foscari di Venezia sta per completare la laurea specialistica in “Lingua, politica ed economia dei paesi arabi”. La storia di Gholam Najafi è raccolta in un piccolo libro, “Il mio Afghanistan” (ed. meridiana, 2016), e merita di essere conosciuta per la carica di speranza, dignità, umiltà, gratitudine e capacità critica. Il suo percorso porta con sé anche una riflessione molto concreta sullo sforzo e il vantaggio dell’accoglienza. Con la sua intelligenza brillante, la gratitudine che esprime in ogni pagina del suo libro, la capacità di mettere in connessione la cultura del Paese d’origine con quella italiana ed europea che ormai gli appartiene, dà a noi l’accesso ad un mondo che i media ci consegnano ma che è ancora molto lontano.

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